Alessia Pifferi, il colpo di scena dietro le mura del carcere: ecco cosa ha deciso di fare
Alessia Pifferi: dall’orrore alla cronaca di un amore in carcere

Il caso di Alessia Pifferi continua a scuotere l’opinione pubblica italiana. La donna, condannata all’ergastolo per aver lasciato morire di fame e di sete la figlia Diana, di appena 18 mesi, torna oggi al centro delle cronache non per motivi processuali, ma per la sua vita sentimentale dietro le sbarre. Dal carcere, infatti, ha annunciato la sua intenzione di sposarsi con la sua compagna di cella, della quale dichiara di essere «follemente innamorata».
«La chiama già moglie», scrive Il Giorno, sottolineando come la Pifferi viva questa relazione con un trasporto assoluto, tanto da considerarla una nuova possibilità di riscatto personale.
Ma mentre l’annuncio suscita clamore, il processo d’appello prosegue, e le parole degli esperti tracciano un ritratto psicologico complesso, che lascia poco spazio alla pietà.
Il nuovo amore in carcere
Seduta accanto alla sua avvocata, Alessia Pontenani, Pifferi è apparsa in aula serena, quasi distaccata. La relazione con la compagna di cella sarebbe nata durante i lunghi mesi di detenzione, in un contesto di isolamento e fragilità emotiva. Tra colloqui, confidenze e la routine carceraria, il legame si è trasformato in qualcosa di più profondo. La donna racconta di aver ritrovato «una ragione di vita» e di sentirsi «amata e compresa per la prima volta».
L’annuncio delle nozze ha destato stupore non solo fuori dal carcere, ma anche all’interno dello stesso istituto penitenziario. Alcuni osservatori ritengono che possa trattarsi di una manifestazione autentica di affetto, altri ipotizzano invece che questa decisione possa rientrare in una strategia difensiva. Non sarebbe la prima volta che un gesto personale venga interpretato in chiave processuale, specie in un caso tanto complesso e mediaticamente esposto.
Il profilo psicologico tracciato dagli esperti
Nel processo d’appello, è stata ascoltata la criminologa Roberta Bruzzone, consulente della parte civile, che ha tracciato un ritratto psicologico impietoso della donna. Secondo la perita, Alessia Pifferi è «bugiarda compulsiva, psicotica e anaffettiva, ma non pazza». Un profilo che, a suo dire, spiega le sue azioni senza giustificarle.
Bruzzone ha sottolineato come la Pifferi sia «patologica al punto da fingere di non essersi accorta della gravidanza», e come in passato abbia «sostenuto di aver subito uno stupro dal padre», un episodio rivelatosi falso ma utile a costruire un passato di abusi in grado di giustificare — nella sua mente — i propri comportamenti. «Il tratto principale che è emerso — ha detto Bruzzone — è la capacità della Pifferi di fare un bilanciamento tra i suoi bisogni e quelli degli altri. La sua personalità è organizzata intorno a temi ben precisi e ruotano tutti intorno ai suoi bisogni. Gli altri non sono così importanti, nemmeno la bambina, ma non perché non si rende conto. Se lei si nutre emotivamente, il resto passa in secondo piano, compresa la bambina».
Parole dure, che delineano una donna lucida ma priva di empatia, capace di pianificare e di ingannare, più per tornaconto personale che per follia.
Il delitto che sconvolse l’Italia
Il caso risale all’estate del 2022, quando Alessia Pifferi lasciò la piccola Diana da sola nel suo appartamento di Milano per sei giorni consecutivi, senza cibo né acqua. Mentre la bambina moriva lentamente, la madre trascorreva quel tempo in compagnia di un uomo conosciuto da poco, in una località fuori città.
Nei mesi precedenti, la Pifferi si era presa cura della figlia, anche se con evidenti carenze. Ma, come ricostruito durante il processo, con il passare del tempo la maternità aveva iniziato a pesarle. Sentiva il bisogno di «tornare a sentirsi donna e non solo mamma». Fu così che preparò una valigia con abiti da sera, si informò sul prezzo di una limousine e partì per raggiungere il suo amante.
Nel suo mondo, in quell’istante, Diana divenne invisibile. Quando tornò a casa, la trovò morta, il corpo ricoperto di insetti. La lavò, come se volesse cancellare l’orrore, e poi chiamò un’amica. Ai soccorritori del 118, appena arrivati, chiese: «Ora a me che cosa succede?».
Una domanda che sintetizza la distanza emotiva tra lei e la tragedia appena compiuta.
Una donna al centro del proprio universo
Il comportamento della Pifferi, per gli esperti, riflette una personalità centrata su se stessa, incapace di provare empatia autentica. Ogni gesto, ogni parola, sembra ruotare attorno al proprio bisogno di attenzione, di amore, di riconoscimento. Anche la nuova relazione in carcere, osservano i periti, potrebbe inserirsi in questo schema: un modo per sentirsi ancora protagonista, amata, desiderata, anche in una condizione di reclusione e isolamento.
Nel corso delle udienze, la donna è apparsa spesso compita, attenta, talvolta sorridente. Non mostra segni di pentimento evidente, ma parla volentieri della sua nuova vita carceraria, delle amicizie nate tra le mura della prigione e del legame che considera «la cosa più vera» che le sia capitata.
L’appello e il futuro incerto
La condanna all’ergastolo è stata pronunciata con l’accusa di omicidio volontario aggravato. L’appello, tuttora in corso, potrebbe confermare la pena o rideterminarla, ma difficilmente scagionerà la donna, vista la mole di prove e le testimonianze raccolte. La sua difesa, tuttavia, continua a insistere sul tema della fragilità mentale e dell’incapacità di intendere e di volere, cercando di spostare il baricentro della colpa verso un disturbo di personalità più che verso la piena consapevolezza.
Nel frattempo, la Pifferi sembra vivere la detenzione con un atteggiamento di adattamento sorprendente. L’amore dichiarato per la compagna di cella, il progetto di matrimonio e il bisogno costante di raccontarsi potrebbero rappresentare per lei un nuovo modo di sentirsi viva, di avere uno scopo, anche all’interno di un’esistenza ormai segnata da un crimine irreparabile.
Una storia che interroga la coscienza collettiva
Il caso di Alessia Pifferi non è soltanto una vicenda giudiziaria, ma anche uno specchio doloroso delle contraddizioni della società contemporanea: la solitudine, il narcisismo, la fragilità emotiva, l’assenza di empatia. Una madre che non ha saputo essere madre, una donna che continua a cercare amore e attenzione, anche dopo aver distrutto la vita più innocente.
Tra le mura del carcere, Alessia Pifferi costruisce ora un nuovo capitolo della propria storia, ma la domanda che resta sospesa è una sola: può l’amore, anche quello nato dietro le sbarre, riscattare un’anima segnata da tanta oscurità?
