Coronavirus

La Svizzera sceglie: negata rianimazione agli anziani malati di coronavirus


Quando non ci sono sufficienti posti in rianimazione, il medico può scegliere chi salvare, in base a patologie ed età? In Svizzera, in tempi di pandemia tutto ciò accade.

Scegliere chi salvare rientra nel protocollo per le cure in caso di sovraffollamento delle terapie intensive. Il presidente dei medici svizzeri ha dichiarato: «È pesantissimo, ma così le regole sono chiare».

Svizzera e Covid: quando scegliere chi salvare è una priorità

In Svizzera, dall’inizio pandemia, non hanno mai avuto molti casi e non si è mai presentato il livello di massima criticità. Ma ora corre ai ripari perchè, a causa degli spostamenti nei paesi europei, l’infezione inizia a dilagare. Insomma, la situazione epidemiologica in Svizzera continua a degradarsi. In proporzione al numero di abitanti, la Confederazione registra molti più casi rispetto ai Paesi confinanti. In attesa di decisioni a livello nazionale, alcuni Cantoni stanno adottando provvedimenti sempre più restrittivi per frenare la propagazione del virus.

Il documento elaborato dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva è in vigore dal 20 marzo, anche se ufficialmente non è stato ancora adottato. Il titolo è preciso: «Triage dei trattamenti di medicina intensiva in caso di scarsità di risorse». Ad una domanda che si stanno facendo in tutti gli ospedali del mondo, la Svizzera mette nero su bianco una risposta: «Al livello B, indisponibilità di letti in terapia intensiva, non andrebbe fatta alcuna rianimazione cardiopolmonare».

I limiti di età per le cure

Ma qual è l’età limite per salvare un paziente affetto da polmonite da covid e in pessime condizioni ?
A pagina 5 del documento sono indicate le tipologie di pazienti destinati a non essere ricoverati in Terapia Intensiva: «Età superiore a 85 anni. Età superiore a 75 anni accompagnata da almeno uno dei seguenti criteri: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica stadio III, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e sopravvivenza stimata a meno di 24 mesi».

A livello A, letti in Terapia Intensiva disponibili ma risorse limitate, i criteri per non essere ammessi alla rianimazione sono più gravi. Tra gli altri: «Arresto cardiocircolatorio ricorrente, malattia oncologica con aspettativa di vita inferiore a 12 mesi, demenza grave, insufficienza cardiaca di classe NYHA IV, malattia degenerativa allo stadio finale».

Come in guerra

Scegliere chi guarire e salvare, in tempi di pandemia, non è compito facile per i medici ma ne sono costretti.

A lunedì scorso, ultimo dato disponibile, in Svizzera c’erano 22 mila 301 posti letto, di cui 6 mila e 353 ancora liberi. Con 586 pazienti ricoverati per Covid-19, di cui 97 in terapia intensiva e 29 intubati. Ma la progressione del virus è veloce. Le decisioni che potrebbero prendere a breve i medici svizzeri, sono le stesse con cui si sono confrontati a marzo i medici di Bergamo, travolti dalla prima ondata di pandemia. Tredici di loro avevano scritto una lettera al New England Journal of Medicine che aveva fatto il giro del mondo: «I pazienti più anziani non vengono rianimati e muoiono in solitudine senza neanche il conforto di appropriate cure palliative».

«Le decisioni vanno prese nell’ottica di contenere il più possibile il numero di malati gravi e morti». Eppure, anche nella pragmatica Svizzera, la cosa ha destato molta impressione, ammette Franco Denti, il presidente dell’Ordine dei Medici del Canton Ticino: «Quando è uscita questa direttiva siamo saltati sulla sedia. Decidere chi rianimare e chi no è pesante, pesantissimo per qualsiasi medico. Ma questo documento, che è pubblico, è a garanzia dei medici e degli stessi pazienti che potrebbero non aver voglia di essere sottoposti a ulteriori cure».

Nel comunicato di presentazione del protocollo, gli accademici parlano della necessità di «prendere decisioni di razionamento». Un termine militare che riporta alla medicina di guerra. Inevitabile secondo il presidente dei medici del Ticino: «Ogni decisione spetta ai comitati etici degli ospedali. Non mi risulta che sia già successo, ma siamo molto preoccupati».


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