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La curva dei contagi cresce ma i morti diminuiscono. Bassetti ci spiega il perchè


Perchè avere così tanta paura se i morti da Coronavirus sono in calo, nonostante stia risalendo il numero dei contagi? A spiegarlo è Matteo Bassetti (direttore clinica malattie infettive al San Martino di Genova): «Siamo più bravi a gestire i casi e la percentuale di positività che troviamo nei tamponi arriva oggi al massimo al 2,5%, ben lontana dal 30% di fine marzo».

Dagli ultimi aggiornamenti emerge una triste realtà ovvero l’aumento dei casi da circa 4 settimane. Se da un lato crescono i positivi, dall’altro siamo sicuri che il virus non è più letale come una volta. A rendere la situazione più positiva del previsto vi è l’adeguamento della Sanità pubblica che ora, più di prima, è pronta ad affrontare le emergenze.

Il coronavirus è cambiato? «È un fatto che si muore di meno: le terapie intensive oggi da Nord a Sud totalizzano una 70ina di ricoveri, quanti ne faceva il reparto Covid del mio ospedale quando l’epidemia era al massimo. Numeri che come clinici non prendiamo neanche in considerazione dal punto di vista della gestione sanitaria».



«Il virus ha le armi spuntate rispetto a sei mesi fa»

A riferirlo è Matteo Bassetti, direttore della clinica di Malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova. Nella sua intervista ha affermato che il virus Sars-CoV-2 ha le armi spuntate rispetto a sei mesi fa, ma questo non esclude di dover essere molto attenti a proteggere i più fragili.

«Perché si muore di meno? Intanto – avvisa Bassetti – grazie all’esperienza sul campo che proprio qui in Italia abbiamo fatto, siamo più bravi a gestire i casi: anche quando in corsia ne arriva uno più impegnativo il sistema è ormai rodato e applica precisi protocolli di trattamento: sappiamo come, quando e in che dosi dare l’ossigeno o il cortisone.

E grazie agli ospedali periferici che tendono a centralizzare, l’assistenza è ottimizzata».




Ci sono due fattori che hanno contribuito a rendere meno pericolosa la malattia: il virus è diventato meno “cattivo” e l’età dei contagiati è scesa sotto i 30 anni secondo l’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità. «I giovani – avvisa ancora Bassetti -: li scoviamo grazie a un’attività di ‘tracing’ senza precedenti che sfiora i 100mila tamponi al giorno e sono in genere asintomatici o poco sintomatici. Se non li testassimo, non saprebbero nemmeno di avere il virus. In ogni caso anche la percentuale di positività arriva oggi al massimo al 2,5%, ben lontana dal 30% di fine marzo, quando su tre tamponi uno era positivo. E con sintomi spesso e volentieri ben diversi: oggi il 90% dei casi non mostra segni di malattia».

In questa fase dell’epidemia negli ospedali continuano ad arrivare persone dai 55 anni in su, come a inizio emergenza da questo punto di vista non ci sono cambiamenti – ma colpite in maniera diversa: il virus ha perso qualche fattore di virulenza, a vantaggio di noi che l’ospitiamo”.




«E gli ospiti – aggiunge Bassetti – sono in ogni caso più pronti e protetti: un nostro lavoro appena pubblicato sul Journal of Clinical Medicine e condotto su 3.500 persone che si sono sottoposte al test sierologico tra marzo e maggio in Liguria e in Lombardia, escluse le aree ad alta endemia, fotografa una prevalenza dell’11% su una popolazione di 12-13 milioni di abitanti. Cioè in quelle aree potenzialmente c’è già 1 milione di persone che ha “fatto” il virus e prodotto anticorpi. Solo a Savona, il 25% della popolazione risulta protetto e cioè ha sviluppato resistenza al Covid”.


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