Storie

Parroco trova neonata abbandonata. Sul biglietto il messaggio della madre: “Non voglio che viva l’inferno che sto vivendo io”


Ci sono momenti in cui la vita ci mette davanti a scelte difficili, tanto profonde quanto dolorose, e nessuno può veramente comprenderne il peso se non chi le vive in prima persona. Le decisioni che nascono dal dolore, dalla paura o dalla mancanza di alternative, raramente sono frutto di leggerezza o indifferenza. Spesso sono atti estremi di disperazione o, paradossalmente, di amore.

È ciò che sembra raccontare la storia commovente che arriva dal Perù, e precisamente da Villa María del Triunfo, un quartiere umile e densamente popolato alla periferia di Lima. Protagonista è Padre Omar, un sacerdote conosciuto nella zona per il suo impegno instancabile nel sostenere i più deboli e per guidare con fede e dedizione l’associazione da lui fondata, che offre aiuto ai poveri, ai malati e a tanti bambini abbandonati.

Una mattina come tante, mentre apriva le porte della struttura per accogliere i primi bisognosi, si è trovato davanti a una scena che lo ha profondamente colpito. Davanti all’ingresso, adagiata con cura dentro una cesta imbottita, vi era una neonata. Il suo visino sereno, le guance arrossate e la piccola coperta che la avvolgeva testimoniavano l’amore di chi, pur dovendosene separare, aveva cercato di proteggerla fino all’ultimo momento. Accanto a lei, un biberon pieno di latte tiepido e un piccolo peluche con un biglietto scritto a mano: poche parole, ma colme di dolore e speranza.

Padre Omar, profondamente commosso, non ha esitato: ha preso in braccio la bambina e l’ha portata dentro. Ha avvertito immediatamente le autorità competenti, ma, nel frattempo, si è preso cura di lei con la dolcezza di un padre. Il suo gesto non è passato inosservato. La comunità si è stretta attorno a quella piccola vita fragile, simbolo di speranza in un mondo segnato spesso dall’abbandono e dalla solitudine.

“Non posso sapere cosa abbia spinto quella madre a lasciarla qui — ha dichiarato Padre Omar — ma posso solo immaginare il dolore che ha provato. Chi lascia un figlio in questo modo non lo fa per mancanza di amore, ma perché forse ha pensato che così avrebbe avuto una possibilità di vivere.”

La storia ha fatto rapidamente il giro dei media locali, suscitando una profonda ondata di emozione e solidarietà. In tanti hanno contattato l’associazione per offrire aiuto, donazioni, pannolini, vestiti e, soprattutto, disponibilità per accogliere la bambina in affido o in adozione.

Questa vicenda, oltre alla tenerezza che ispira, solleva riflessioni profonde sulla povertà, sull’emarginazione e sulla forza silenziosa dell’amore materno, che può spingersi fino al sacrificio più grande. La scelta di quella madre non deve essere giudicata con superficialità. Forse ha lasciato sua figlia alla porta dell’unico luogo che conosceva dove sapeva che avrebbe ricevuto protezione e affetto.

Padre Omar continua, intanto, a fare ciò che ha sempre fatto: accogliere, proteggere, non giudicare. La sua missione è quella di offrire speranza dove sembra non essercene, e la sua fede è diventata una luce per tanti. Quella bambina, trovata nel silenzio di una mattina peruviana, è oggi circondata dall’amore di un’intera comunità.

Una storia che ci ricorda come, a volte, anche i gesti più strazianti possono nascondere l’eco di un amore profondo. Un amore che, pur nel dolore della separazione, cerca una nuova possibilità.

Un breve messaggio, scritto su un bigliettino, accompagnava la piccola creatura, che diceva: ” Non voglio che viva l’inferno che sto vivendo io.”

Poche parole perché Padre Omar accogliesse senza pregiudizio quella piccolina, pregando per la bambina e per la madre, sicuro che la sua scelta di abbandonare la figlia nelle mani dell’associazione no-profit fosse quella giusta.

Nessuno ha saputo nulla dei genitori della neonata e della loro difficile condizione che stavano vivendo. La piccola è subito stata accolta tra le braccia dei parrocchiani, coccolata e nutrita adeguatamente. I suoi occhi innocenti cercano ancora una madre che forse non vedrà più e di cui non sentirà più il suo odore. Una donna che forse, in questo caso, ha fatto la scelta giusta: privarsi della sua bambina per non darle quel dolore che le distruggeva la vita.

Presto la neonata avrà una famiglia che potrà crescerla con amore e con quella serenità che le sarebbe mancata con i suoi genitori naturali.

Il fenomeno dei bambini abbandonati alla nascita è una realtà ancora presente, sebbene spesso ignorata o minimizzata. Ogni anno, in diverse parti del mondo – compresa l’Italia – si registrano casi in cui neonati vengono lasciati soli poche ore dopo il parto, senza alcuna possibilità di conoscere i propri genitori biologici. Le cause sono molteplici e raramente legate a superficialità o mancanza d’amore. Più spesso, si tratta di madri in situazioni di estrema fragilità emotiva, sociale o economica, che vivono la gravidanza come un peso insostenibile. Alcune donne sono vittime di violenza, altre sono giovanissime e senza supporto familiare, oppure temono lo stigma sociale o religioso.

In Italia, esiste il diritto di partorire in anonimato: una madre può recarsi in ospedale, dare alla luce il bambino e scegliere di non riconoscerlo, lasciando che sia lo Stato a occuparsene. Una misura di civiltà che serve a salvare vite, evitando abbandoni pericolosi. A questo si aggiungono le culle per la vita, sportelli protetti dove è possibile depositare il neonato in modo sicuro, garantendo l’intervento immediato dei soccorsi. Questi strumenti rappresentano un’ancora di salvezza tanto per i neonati quanto per chi, schiacciato dal dolore, non vede altre vie d’uscita.

Ogni bambino abbandonato porta con sé una storia non detta, un grido silenzioso che la società non può ignorare. Investire in ascolto, accoglienza e servizi sociali efficienti significa prevenire l’abbandono e restituire speranza. Perché ogni nascita dovrebbe essere accompagnata da cura, dignità e futuro – non dal silenzio e dall’assenza.