CuriositàSalute

“Ti accorgi sotto la doccia: questo strano segnale potrebbe essere il primo campanello d’allarme dell’Alzheimer”


L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che avanza lentamente, spesso in modo silenzioso, colpendo aree del cervello deputate alla memoria, al linguaggio e al pensiero. Tuttavia, tra i segnali più precoci e insidiosi, vi è un sintomo spesso trascurato: l’alterazione dell’olfatto. Secondo le più recenti ricerche scientifiche, una ridotta capacità di percepire gli odori, in particolare quelli familiari come il profumo del sapone durante la doccia, potrebbe rappresentare uno dei primi indizi della malattia.

Questa scoperta arriva dagli studi del professor Davangere Devanand, psichiatra e neurologo della Columbia University, che da anni si occupa delle fasi iniziali dell’Alzheimer. Il docente sottolinea come l’identificazione degli odori sia un processo neurologico complesso, che coinvolge specifiche aree cerebrali, come la corteccia entorinale e l’ippocampo – le prime regioni colpite dalla malattia di Alzheimer. Non si tratta dunque solo di una momentanea distrazione o di un calo della sensibilità olfattiva legata all’età, ma di un cambiamento strutturale e funzionale del cervello.

Il senso dell’olfatto, sebbene spesso sottovalutato, è strettamente collegato alla memoria e alle emozioni. Per questo motivo, difficoltà nel percepire odori abituali – come il profumo del caffè al mattino, del pane appena sfornato, del detersivo per la biancheria o, appunto, del sapone durante l’igiene personale – possono essere indicatori preziosi di deterioramento cognitivo.

Secondo alcuni studi, le alterazioni olfattive possono comparire anche anni prima dei sintomi più evidenti, come la perdita di memoria o la difficoltà nel linguaggio. Monitorare questo tipo di cambiamento potrebbe quindi offrire un vantaggio diagnostico prezioso, permettendo una diagnosi precoce e di conseguenza un approccio terapeutico più tempestivo e mirato.

Naturalmente, la perdita dell’olfatto non indica automaticamente la presenza della malattia, ma è uno dei tanti campanelli d’allarme che, se associato ad altri sintomi, merita attenzione medica. Anche patologie come il morbo di Parkinson, infezioni respiratorie croniche o l’invecchiamento fisiologico possono influenzare la capacità olfattiva, ma è la persistenza e la progressione del disturbo olfattivo ad attirare l’interesse dei neurologi.

Oggi, grazie all’evoluzione delle tecnologie diagnostiche, esistono test olfattivi semplici e non invasivi che possono essere utilizzati come strumento di screening, specialmente in pazienti a rischio o con familiarità per l’Alzheimer.

Il legame tra olfatto e declino cognitivo

La perdita della capacità di riconoscere odori familiari, come quello del sapone, può essere uno dei primi segnali di deterioramento cognitivo. Il professor Devanand ha evidenziato che, sebbene la percezione degli odori possa rimanere intatta, la loro identificazione richiede funzioni cerebrali superiori, come la memoria e il linguaggio, che sono vulnerabili nelle prime fasi dell’Alzheimer.

Il test olfattivo come strumento diagnostico

In uno studio condotto su 647 partecipanti nell’ambito del Mayo Clinic Study of Aging, è stato utilizzato il Brief Smell Identification Test (BSIT), un test che valuta la capacità di riconoscere 12 odori, tra cui sapone, cuoio, lillà, fumo, gas, rosa, ciliegia, chiodi di garofano, fragola, mentolo, ananas e limone. I risultati hanno mostrato che le persone con punteggi bassi nel BSIT avevano una probabilità significativamente maggiore di sviluppare declino cognitivo o demenza nel corso degli otto anni di follow-up dello studio.

Combinando il BSIT con un breve test cognitivo, il Blessed Information Memory Concentration Test (BIMCT), i ricercatori hanno ottenuto una capacità predittiva del rischio di declino cognitivo paragonabile a quella delle costose tecniche di imaging cerebrale, come la PET con Pittsburgh compound B.

Implicazioni per la diagnosi precoce

L’uso combinato di test olfattivi e cognitivi rappresenta un approccio pratico e accessibile per identificare precocemente le persone a rischio di Alzheimer. Questi test, essendo non invasivi e di facile somministrazione, potrebbero essere integrati nelle valutazioni di routine in ambito clinico, facilitando l’accesso a diagnosi tempestive e interventi precoci.

Il professor Devanand sottolinea l’importanza di questi strumenti nella pratica clinica quotidiana, evidenziando come possano migliorare l’identificazione dei soggetti a rischio e promuovere la partecipazione a studi di prevenzione dell’Alzheimer.

Conclusione

La difficoltà nel riconoscere odori comuni, come quello del sapone durante la doccia, potrebbe essere un campanello d’allarme per il declino cognitivo. L’integrazione di semplici test olfattivi e cognitivi nelle valutazioni cliniche potrebbe rivoluzionare l’approccio alla diagnosi precoce dell’Alzheimer, offrendo nuove opportunità per interventi tempestivi e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Cause e cure dell’Alzheimer: cosa sappiamo oggi

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa complessa che colpisce principalmente la memoria, il pensiero e il comportamento, con un impatto crescente sull’autonomia della persona. Sebbene le cause precise non siano ancora del tutto chiare, si ritiene che alla base vi sia un insieme di fattori genetici, biologici e ambientali. Uno degli aspetti più studiati è l’accumulo anomalo di due proteine nel cervello: la beta-amiloide, che forma placche tra i neuroni, e la tau, che si aggroviglia all’interno delle cellule cerebrali. Questi depositi danneggiano progressivamente le connessioni tra le cellule nervose, portando alla loro morte.

Oltre alla predisposizione genetica, che gioca un ruolo in alcuni casi familiari, anche fattori come età avanzata, stile di vita poco sano, traumi cranici e malattie cardiovascolari sembrano aumentare il rischio di sviluppare la patologia. L’Alzheimer si manifesta spesso in modo graduale, partendo da piccoli vuoti di memoria fino a compromettere il linguaggio, l’orientamento e, infine, la capacità di svolgere attività quotidiane.

Al momento non esiste una cura definitiva per l’Alzheimer, ma esistono trattamenti che aiutano a rallentarne l’evoluzione. Alcuni farmaci agiscono sui sintomi, migliorando temporaneamente la memoria o l’umore. Altri, più recenti, mirano proprio a ridurre l’accumulo delle proteine tossiche nel cervello. Accanto alle terapie farmacologiche, è fondamentale il supporto non farmacologico: stimolazione cognitiva, attività fisica leggera, alimentazione equilibrata e contatto sociale possono fare la differenza nel mantenere la qualità di vita.

La ricerca continua, con studi promettenti su vaccini, terapie genetiche e nuove molecole. L’obiettivo è arrivare a fermare la malattia prima che danneggi irreversibilmente il cervello. Intanto, la prevenzione e la diagnosi precoce restano le armi più efficaci per affrontare l’Alzheimer.

TI POTREBBE ANCHE INTERESSARE: Lo studio shock: le radiazioni degli smartphone causano l’Alzheimer, già a 25 anni. Tutti dovrebbero saperlo