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“Ti accorgi sotto la doccia: questo strano segnale potrebbe essere il primo campanello d’allarme dell’Alzheimer”


Un segnale precoce dell’Alzheimer potrebbe manifestarsi durante attività quotidiane apparentemente banali, come la doccia. La difficoltà nel riconoscere l’odore del sapone, ad esempio, può indicare un’alterazione delle capacità olfattive, spesso compromesse nelle fasi iniziali della malattia. Secondo il professor Davangere Devanand, docente di psichiatria e neurologia alla Columbia University, la capacità di identificare gli odori richiede l’integrità di specifiche aree cerebrali, le stesse che l’Alzheimer colpisce precocemente.

Il legame tra olfatto e declino cognitivo

La perdita della capacità di riconoscere odori familiari, come quello del sapone, può essere uno dei primi segnali di deterioramento cognitivo. Il professor Devanand ha evidenziato che, sebbene la percezione degli odori possa rimanere intatta, la loro identificazione richiede funzioni cerebrali superiori, come la memoria e il linguaggio, che sono vulnerabili nelle prime fasi dell’Alzheimer.

Il test olfattivo come strumento diagnostico

In uno studio condotto su 647 partecipanti nell’ambito del Mayo Clinic Study of Aging, è stato utilizzato il Brief Smell Identification Test (BSIT), un test che valuta la capacità di riconoscere 12 odori, tra cui sapone, cuoio, lillà, fumo, gas, rosa, ciliegia, chiodi di garofano, fragola, mentolo, ananas e limone. I risultati hanno mostrato che le persone con punteggi bassi nel BSIT avevano una probabilità significativamente maggiore di sviluppare declino cognitivo o demenza nel corso degli otto anni di follow-up dello studio.

Combinando il BSIT con un breve test cognitivo, il Blessed Information Memory Concentration Test (BIMCT), i ricercatori hanno ottenuto una capacità predittiva del rischio di declino cognitivo paragonabile a quella delle costose tecniche di imaging cerebrale, come la PET con Pittsburgh compound B.

Implicazioni per la diagnosi precoce

L’uso combinato di test olfattivi e cognitivi rappresenta un approccio pratico e accessibile per identificare precocemente le persone a rischio di Alzheimer. Questi test, essendo non invasivi e di facile somministrazione, potrebbero essere integrati nelle valutazioni di routine in ambito clinico, facilitando l’accesso a diagnosi tempestive e interventi precoci.

Il professor Devanand sottolinea l’importanza di questi strumenti nella pratica clinica quotidiana, evidenziando come possano migliorare l’identificazione dei soggetti a rischio e promuovere la partecipazione a studi di prevenzione dell’Alzheimer.

Conclusione

La difficoltà nel riconoscere odori comuni, come quello del sapone durante la doccia, potrebbe essere un campanello d’allarme per il declino cognitivo. L’integrazione di semplici test olfattivi e cognitivi nelle valutazioni cliniche potrebbe rivoluzionare l’approccio alla diagnosi precoce dell’Alzheimer, offrendo nuove opportunità per interventi tempestivi e migliorando la qualità della vita dei pazienti.

Cause e cure dell’Alzheimer: cosa sappiamo oggi

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa complessa che colpisce principalmente la memoria, il pensiero e il comportamento, con un impatto crescente sull’autonomia della persona. Sebbene le cause precise non siano ancora del tutto chiare, si ritiene che alla base vi sia un insieme di fattori genetici, biologici e ambientali. Uno degli aspetti più studiati è l’accumulo anomalo di due proteine nel cervello: la beta-amiloide, che forma placche tra i neuroni, e la tau, che si aggroviglia all’interno delle cellule cerebrali. Questi depositi danneggiano progressivamente le connessioni tra le cellule nervose, portando alla loro morte.

Oltre alla predisposizione genetica, che gioca un ruolo in alcuni casi familiari, anche fattori come età avanzata, stile di vita poco sano, traumi cranici e malattie cardiovascolari sembrano aumentare il rischio di sviluppare la patologia. L’Alzheimer si manifesta spesso in modo graduale, partendo da piccoli vuoti di memoria fino a compromettere il linguaggio, l’orientamento e, infine, la capacità di svolgere attività quotidiane.

Al momento non esiste una cura definitiva per l’Alzheimer, ma esistono trattamenti che aiutano a rallentarne l’evoluzione. Alcuni farmaci agiscono sui sintomi, migliorando temporaneamente la memoria o l’umore. Altri, più recenti, mirano proprio a ridurre l’accumulo delle proteine tossiche nel cervello. Accanto alle terapie farmacologiche, è fondamentale il supporto non farmacologico: stimolazione cognitiva, attività fisica leggera, alimentazione equilibrata e contatto sociale possono fare la differenza nel mantenere la qualità di vita.

La ricerca continua, con studi promettenti su vaccini, terapie genetiche e nuove molecole. L’obiettivo è arrivare a fermare la malattia prima che danneggi irreversibilmente il cervello. Intanto, la prevenzione e la diagnosi precoce restano le armi più efficaci per affrontare l’Alzheimer.

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