Semilibertà per Alberto Stasi: lavora come contabile e rientra in carcere la sera

La notizia ha inevitabilmente suscitato forte dibattito pubblico e mediatico: il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha concesso ad Alberto Stasi il regime di semilibertà, nonostante le obiezioni della Procura Generale. Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione per l’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco nel 2007, potrà ora lavorare di giorno e rientrare in carcere la sera. Un passo significativo nella sua detenzione, che però non è privo di polemiche e risvolti controversi.
La concessione arriva a oltre dieci anni dal delitto che ha sconvolto l’opinione pubblica e che per lungo tempo ha alimentato interrogativi irrisolti, dibattiti giudiziari e mediatici. La figura di Stasi, fin dall’inizio al centro dell’indagine, è rimasta divisiva: inizialmente assolto in primo e secondo grado, fu poi condannato in via definitiva nel 2015 dalla Cassazione, in un processo che ha segnato una svolta clamorosa.
A pesare sulla decisione del Tribunale, positivamente, sono stati i percorsi rieducativi intrapresi da Stasi nel carcere di Bollate e l’assenza di condotte negative durante la sua detenzione. Tuttavia, la Procura Generale aveva espresso parere contrario alla concessione del nuovo regime, motivando la sua posizione con una intervista rilasciata da Stasi alla trasmissione “Le Iene” durante un permesso premio, senza autorizzazione. Per la Procura, tale comportamento avrebbe mostrato scarso rispetto per le regole e poca consapevolezza del reato commesso.
Nonostante ciò, il Tribunale ha ritenuto che le condizioni fossero mature per un primo reinserimento graduale nella società, secondo quanto previsto dall’ordinamento penitenziario per favorire la rieducazione del condannato.
Il caso, ancora oggi, continua a dividere l’opinione pubblica. Da un lato, c’è chi sottolinea il diritto del detenuto a percorrere un cammino di reinserimento dopo anni di pena, come previsto dalla legge. Dall’altro, molti ritengono inaccettabile che Stasi, condannato per un delitto così efferato e controverso, possa beneficiare della semilibertà prima di aver scontato l’intera pena.
Una vicenda giudiziaria e umana che resta, per molti, una ferita aperta, e che continua a sollevare domande profonde su giustizia, perdono e diritto alla rieducazione.
La decisione del Tribunale di Sorveglianza
Il collegio giudicante, composto dalle giudici Maria Paola Caffarena e Federica Gentile, ha valutato positivamente il percorso detentivo di Stasi, caratterizzato da un “rigoroso e costante rispetto delle regole”. In particolare, è stato sottolineato che l’intervista televisiva non era esplicitamente vietata dal provvedimento che autorizzava il permesso premio, e il tono pacato dell’intervento non è stato ritenuto in contrasto con il percorso rieducativo in atto.
Condizioni della semilibertà
Con la semilibertà, Stasi potrà trascorrere parte della giornata fuori dal carcere di Bollate per svolgere attività lavorative, formative o altre iniziative finalizzate al reinserimento sociale, facendo ritorno in istituto la sera. Attualmente, Stasi lavora come contabile e ha un appoggio abitativo presso lo zio. La misura è stata concessa anche in considerazione della sua condotta carceraria positiva e della partecipazione a programmi di reinserimento
Reazioni e sviluppi futuri
La madre di Chiara Poggi ha espresso amarezza per la decisione del Tribunale, auspicando di non incontrare mai Stasi. Nel frattempo, il caso dell’omicidio di Chiara Poggi è stato riaperto nel marzo 2025, con nuove indagini che coinvolgono Andrea Sempio, amico del fratello della vittima, a seguito di nuove analisi del DNA. Stasi, che ha sempre proclamato la sua innocenza, potrebbe in futuro richiedere ulteriori misure alternative alla detenzione, come l’affidamento in prova ai servizi sociali.
Garlasco: nuovi sviluppi dopo anni di silenzio
La vicenda di Garlasco, legata all’omicidio di Chiara Poggi avvenuto nell’estate del 2007, continua a generare interrogativi, anche a distanza di quasi due decenni. Dopo anni di processi, ricorsi e una condanna definitiva, il caso si è riaperto su nuove basi. I recenti sviluppi ruotano attorno all’ipotesi che una seconda persona, oltre ad Alberto Stasi, possa aver avuto un ruolo nella morte della giovane. A riaccendere l’interesse degli inquirenti sono alcuni reperti mai analizzati a fondo, che oggi – grazie ai progressi nelle tecnologie forensi – potrebbero raccontare qualcosa di diverso.
Tra questi, si parla di impronte rimaste non attribuite, di tracce biologiche sottovalutate in passato e di oggetti sui quali non furono fatti approfondimenti decisivi. Il tutto si inserisce in un contesto in cui la famiglia della vittima ha sempre chiesto chiarezza fino in fondo, ritenendo che la verità non sia stata completamente svelata. La riapertura delle analisi scientifiche, condotte con strumenti attuali, come la ricostruzione 3D della scena del crimine, punta a comprendere meglio la dinamica dell’aggressione e a verificare eventuali presenze alternative nella casa quel giorno.
La figura di un secondo possibile sospettato è ora sotto esame. Non si tratta di un nome nuovo, ma di una persona già nota agli ambienti familiari di Chiara, che non era mai stata formalmente indagata. Ora, grazie a un nuovo impulso investigativo, si punta a capire se quella presenza possa avere avuto un ruolo determinante.
La vicenda resta delicata e ancora oggi alimenta il dibattito tra giustizia, opinione pubblica e desiderio di verità. Nessuna sentenza può restituire ciò che è stato perso, ma ogni passo verso la chiarezza è un atto dovuto.
