Enzo Paolo Turchi: «A 8 anni lavoravo per mangiare. Ho anche incontrato un mostro”

Dietro il sorriso solare e la leggerezza delle sue coreografie, Enzo Paolo Turchi nasconde un passato difficile, fatto di privazioni, dolore e riscatto. Il celebre ballerino e coreografo, ospite di Nunzia De Girolamo nella trasmissione Ciao Maschio, ha raccontato con estrema sincerità i momenti più oscuri della sua infanzia e adolescenza: la povertà, la solitudine, l’assenza dei genitori, la tragedia familiare che sconvolse la sua casa e anche l’incontro con “un mostro” che cercò di approfittarsi della sua fragilità.
Nel dialogo televisivo, Enzo Paolo si è mostrato senza maschere, svelando la parte più intima di sé, quella che pochi conoscono: il bambino dei Quartieri Spagnoli di Napoli, costretto a crescere in fretta e a lavorare per sopravvivere, che trovò nella danza la sua unica via di salvezza. Oggi, guardando indietro, Turchi racconta la sua storia non con rabbia ma con lucidità, quasi con il desiderio di lasciare un messaggio di speranza a chi, come lui, ha conosciuto la sofferenza fin da piccolo.
Un’infanzia segnata dal dolore
“Purtroppo la mia infanzia è stata complicata”, confida. Le sue parole riportano a una Napoli del dopoguerra, povera e ferita, dove i bambini imparavano presto a cavarsela da soli. La sua famiglia fu devastata da una tragedia: due sorelline, di 12 anni e 18 mesi, morirono travolte da un carro armato. Un dramma che la madre non riuscì mai a superare e che segnò irrimediabilmente il loro equilibrio familiare.
“Dopo quella disgrazia – racconta – mia madre non era più la stessa. Spariva per giorni, non era presente. Mio padre se ne andò e lo vidi solo tre volte nella vita, l’ultima da morto.” Da quel momento, Enzo Paolo visse nell’abbandono. “Dormivo sulle scale, mangiavo quando capitava. A casa non c’era la luce, a volte un vicino ci allungava un filo elettrico per farcela avere.”
A soli otto anni comincia a lavorare per sopravvivere: pulisce bische clandestine nei vicoli napoletani per 20 lire al giorno, giusto per comprarsi un panino. L’infanzia gli scivola via troppo presto, e con essa la spensieratezza.
“Ho incontrato il mostro”
Durante l’intervista, Nunzia De Girolamo gli chiede se qualcuno abbia mai tentato di approfittarsi della sua condizione di vulnerabilità. Il ballerino, dopo un attimo di silenzio, risponde: “Sì, ho incontrato il mostro.” Non aggiunge altro. “Sono state cose brutte, non le voglio ricordare perché mi fanno ancora male.”
Quelle parole bastano a comprendere il peso di un trauma che, pur non volendo descrivere, ha lasciato un segno profondo nella sua memoria. È il racconto di una ferita che preferisce non riaprire, ma che ha contribuito a formare la sua forza interiore. Enzo Paolo non cerca la compassione del pubblico, ma parla per liberare il dolore e trasformarlo in consapevolezza.
Il bullismo e i pregiudizi
Oltre alla povertà, il piccolo Enzo dovette affrontare anche i pregiudizi sociali. La sua passione per la danza, in un ambiente maschile e popolare come quello dei Quartieri Spagnoli, era vista come un’anomalia. Ogni volta che scendeva in strada per andare a lezione, sentiva dietro di sé cori di scherno e insulti.
“Mi gridavano di tutto, mi seguivano per strada – racconta – ma io continuavo. Quelle voci, col tempo, sono diventate la sigla della mia vita.” Una frase che racchiude la forza del suo spirito: la capacità di trasformare il dolore in motivazione, la derisione in ritmo, l’umiliazione in arte.
La danza come salvezza
A otto anni entra nella scuola di danza del Teatro San Carlo di Napoli. È lì che nasce il vero riscatto. La danza diventa rifugio, passione, via di fuga da una realtà troppo dura. A 16 anni si diploma in ballo e solfeggio, e poco dopo diventa primo ballerino alla Fenice di Venezia, danzando accanto a grandi artisti come Carla Fracci.
“Non avevo nulla, ma avevo la danza – dirà più tardi – e quella mi ha salvato.” Il successo arriva presto, ma non gli cancella il passato. Dietro i sorrisi televisivi, c’è ancora il bambino che ha conosciuto la fame e la solitudine.
Il perdono e la maturità
Con il tempo, Enzo Paolo è riuscito a trasformare la rabbia in perdono. “Ho odiato i miei genitori, ma oggi gli chiederei scusa”, ammette. “Solo ora capisco il dolore di una madre che perde due figlie. È il dolore più grande che esista.”
Questa consapevolezza arriva con la maturità, e forse anche grazie alla paternità. L’amore per la figlia Maria, nata dal matrimonio con Carmen Russo, gli ha insegnato cosa significa proteggere, esserci, dare affetto. “So cosa vuol dire crescere senza amore, e per questo voglio darle tutto quello che a me è mancato.”
L’amore che lo ha salvato
Nella sua rinascita un ruolo fondamentale lo ha avuto Carmen Russo, la donna che gli è accanto da una vita. Con lei ha condiviso successi, crisi, sogni e fatiche. “Carmen mi ha salvato la vita,” confessa spesso. “È la mia famiglia, la mia stabilità.”
Il loro legame, saldo e sincero, ha trasformato il dolore in forza e il passato in memoria. Nonostante le difficoltà, i due hanno costruito un’unione che resiste al tempo, alla notorietà e alle tempeste della vita.
Dalla sofferenza alla rinascita
Oggi, a distanza di decenni da quei giorni bui, Enzo Paolo Turchi è un uomo che guarda al passato con tenerezza e non più con rabbia. Le ferite non si cancellano, ma si possono guarire. Nelle sue parole non c’è autocommiserazione, ma il desiderio di trasmettere un messaggio: non arrendersi mai, anche quando la vita sembra crollare addosso.
La sua storia è quella di un bambino abbandonato che ha imparato a ballare per sopravvivere, di un uomo che ha trasformato la sofferenza in arte e il dolore in perdono. Oggi, dietro ogni passo di danza, c’è la voce di quel bambino che non smise mai di credere in se stesso, anche quando tutto intorno sembrava perduto.
