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Coronavirus, la testimonianza del medico intubato che racconta il suo incubo: “io intubato e incosciente, mi mancava l’ossigeno, l’olfatto, la vista”


Coronavirus, il medico ammalato: “Io intubato e incosciente, ora sono tornato alla vita e a tutti dico: resistete”.

Angelo Vavassori, è un rianimatore di Bergamo, che racconta i giorni in cui gli mancava l’ossigeno, perdeva olfatto, vista, fino alla ripresa. E ora spera di tornare a lavoro quanto prima.

Angelo Vavassori ha 53 anni, di Treviolo, è rianimatore nell’ospedale di Bergamo, ha raccontato la sua terribile esperienza ai microfoni de La Repubblica.

Quando non sono più riuscito a respirare, ho temuto di non rivedere mia moglie e i nostri quattro figli. Fino a quell’istante avevo curato gli altri attaccati dal coronavirus. Ho visto pazienti morire, conosco la sua aggressività. Così ho pensato che magari il momento del congedo era venuto anche per me“. Queste le prime parole che ha detto subito dopo la sua ripresa.

Il suo tragico racconto

Lui di persone con coronavirus ne aveva viste molte, ma non poteva immaginare che lui sarebbe stato uno dei protagonisti di questa maledetta pandemia. Lui è un uomo forte, senza patologie, era lì per curare, non per ammalarsi…invece…è accaduto anche a lui.

Dopo giorni di lavoro difficili, sono giunti  i primi sintomi: “Dal 22 febbraio ho curato i primi infettati. Dal 28 il mio reparto di rianimazione è stato riservato a loro. Sabato 29 mi è salita un po’ di febbre, ma sono giorni difficili e anche domenica ho finito il turno a mezzanotte. Lunedì mattina stavo bene, verso sera avevo già 38,9 di febbre”.

Così ha deciso di mettersi in quarantena volontaria e ha iniziato ad affrontare la triste verità e la solitudine più assoluta: “Per due giorni mi hanno lasciato il cibo davanti alla porta chiusa. Lo ritiravo con guanti e mascherina, poi disinfettavo tutto. Comunicavamo al telefono. Non è bastato: mia moglie e il figlio più grande di 18 anni sono rimasti contagiati. I gemelli di 14 anni e la bambina di 11, per ora no”.

Nonostante l’isolamento, la situazione è peggiorata velocemente: “Mercoledì 4 marzo mi hanno fatto il tampone, giovedì è stata confermata la positività. La febbre restava attorno 39. La sera ho cominciato a respirare a fatica. In pochi minuti ho perso olfatto e gusto, ci vedevo sempre meno. Per la carenza di ossigeno sono saliti anche mal di testa e dissenteria”.

Aveva molta paura nonostante lui fosse un medico, paura della morte: “Sapevo di non poter resistere a lungo. Respiravo, ma nei polmoni non entrava più ossigeno. Alle 23 mi ha chiamato un collega per dirmi che si era liberato un letto. La radiografia ha confermato che la polmonite era scoppiata”.

Arrivato in ospedale, viene intubato: “Nel casco della ventilazione il rumore è assordante, il flusso dell’ossigeno è caldo. Si suda e sembra di soffocare ancora più di prima. Invece un po’ alla volta senti che se tiri, entra aria. Sono un rianimatore, per giorni ho curato i contagiati: conoscere le loro reazioni mi ha aiutato a resistere”.

Ma anche al Coronovirus si sopravvive, basta avere forza e coraggio e affidarsi ai medici che fanno di tutto per i loro pazienti: “Con un cocktail di antiretrovirali previsto dal protocollo. Serve a concedere tempo agli anticorpi, che inglobano e bloccano il virus prima che comprometta i polmoni. I macrofagi assorbono poi sia il virus morto che gli anticorpi”.

La paura di restare in quella situazione, tra vita e morte, sul filo di un rasoio, è una situazione sicuramente non piacevole: “Un paio di giorni sono stato assente. Avverti nel sonno che medici e macchine ti infondono ossigeno e ti idratano. Il tempo si concentra in un istante: ora so che è questa accelerazione che cancella passato e presente, il confine tra la vita e la morte”.

Con il passare delle ore è ritornato a respirare da solo ma ancora sotto attenta osservazione: “Sono in gastroenterologia, riconvertita al Covid-19. Respiro con una mascherina che rilascia ossigeno al 70%, circa 12 litri al minuto. Pensavo di essere a casa, appena assopito. Invece nel letto accanto al mio c’era un paziente che avevo curato io per il Covid-19″.

Questo è il racconto di un uomo sano che è stato contagiato. Questa è ciò che vivono le persone dopo aver contratto il virus. Per il tuo bene, e per quello della comunità, resta a casa.

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